Project Description
Mostra personale “evoluzione”
Orto Botanico dell’Università di Padova 2008
Realismo dell’invisibile vitale
L’installazione di Cristina Cocco negli spazi dell’Orto Botanico di Padova appare come un’opera compiuta: pensiero e pittura diventano una cosa sola poiché forte è l’intenzione di produrre un realismo dell’invisibile biologo attraverso le modificazioni della forma visiva.
L’installazione di Cristina Cocco negli spazi dell’Orto Botanico di Padova appare come un’opera compiuta, un capo-lavoro di sintesi del suo percorso d’artista. Una summa di riflessioni e processi in cui hanno parte dominante il tema della vita naturale e l’esperienza del tempo, interpretati da una pittura in grado di cogliere e restituire, con i propri mezzi, il mistero dell’evoluzione. Il dato di partenza, l’osservazione delle ninfee nello stagno, aveva già in sé la doppia valenza della bellezza della forma e della promessa del disfacimento. Nella storia della pittura fu la struggente seduzione dell’aspetto -forma, colori, sostanza, ambientazione acquatica- a guidare gli occhi, già velati eppur vedenti, di Monet che ne immortalò la meraviglia. Fu poi l’Informale ad entrare nella materia confondendo natura e pittura. Su questo sfondo di precedenti, situati idealmente sul bordo dello stagno, Cristina Cocco fissa i confini della sua poetica che, tuttavia, non si accontenta né della visione, né della penetrazione. La sua scommessa è doppiare sulla tela il processo e per questo poggia la pittura sulla certezza frusciante del disegno. L’evoluzione non affonda romanticamente nel caos, la dissoluzione e la germinazione non abitano in un’indefinita funzionalità: un disegno preciso, l’impronta di una legge, governa l’incipit dell’evoluzione che procede dal guscio secco della figura per poi trascorrere su frequenze di rinascita.
I lati del grande cubo diventano schermi di rappresentazione delle fasi salienti di trasformazione. L’andamento pittorico asseconda la mutazione e diventa, allo stesso tempo, medium e metafora di ciò che accade, parallelamente, nello sguardo-mente dell’artista e nell’acqua dello stagno. Dunque colori e stesure tendono a rendere i tracciati dell’evoluzione. In quest’analogia si cela l’alleanza creativa tra la materia pittorica e l’investimento concettuale. Pensiero e pittura diventano una cosa sola poiché forte è l’intenzione di produrre un realismo dell’invisibile vitale attraverso le modificazioni della forma.
La prima tavola è dunque narrazione disincarnata, virtualità descrittiva. L’apparenza concatena segni agili e dinamici, come se il piano di appoggio cominciasse a vacillare, il moto a bussare, le onde a premere, il colore a forzare i bordi. Ricordo di uno stato remoto, fotogramma gigante di una trascorsa meraviglia prosciugata nella cenere dell’apparenza. Nello schermo successivo irrompono i colori, le pulsazioni cromatiche accelerano e s’intensificano. Il risultato prodotto dall’affollamento visivo e cromatico, che cambia le frequenze e aumenta la dissoluzione sfrecciante, rimanda a un grande maestro contemporaneo: Gerhard Richter. La Cocco nella corsa trascina la tavolozza e riesce ad amplificare i colori mentre capitolano verso l’astrazione: misteri del talento di una giovane che solo ieri, in pieno manierismo concettuale, dipingeva ottimi ritratti naturalisti. Nella terza tavola il colore rifluisce attraverso onde di moto, vettori di dinamizzazione; riprende la scena sul fluire di moti orizzontali, di scariche a nastro, lucenti e sinuose. Tornano alla memoria gli “stati d’animo” di Boccioni: fasci di segni ondosi che scorrono, avanzano e procedono oltre lo schermo. E’ l’espressione manifesta dell’energia a catturare e frantumare, nel suo fluire, le forme delle figure. Il moto della Cocco ha un andamento orizzontale e corre, lievemente attorto, per falde di luce e fasci di colori. Ed ecco il quarto stadio: la dissoluzione finale, la vaporizzazione della sostanza pittorica, la disintegrazione eterica.
In questa fase ultima la Cocco incrocia certi esiti della pittura analitica, quella pittura talmente conscia di sé da lasciarsi governare solo dal tempo, ispiratore di trama e di stesura. Le variazioni di densità, il moto pulviscolare, la grana sottile che nebulizza ombre e luci alludono tuttavia a una disposizione più romantica che analitica: è contraddittorio, lo sappiamo. Ma in Cocco questi opposti si toccano e creano un corto circuito che tiene il riguardante sospeso tra l’immersione e il distacco.
Dentro al cubo la verità oggettiva: il tempo reale, la camera fissa, il film sulla vita che si trasforma dentro l’acqua dello stagno. Un capo-lavoro della creazione, raccontato senza trucchi dall’obiettivo aperto sullo schermo dello stagno. A correre, idealmente, stavolta è la pellicola: come un nastro, come le tele che avvolgono il cubo, come i segni di trasformazione, come la vita naturale.
Virginia Baradel